04 Giugno 2012_Parasite Strategies for New Cities

Nei giorni 1-2-3 Giugno si svolgerà un workshop sull’area di S.Marta a Venezia coordinato da A.A.A. (Atelier d’Architecture Autogérée) e Hackitectura, che precederà e introdurrà il seminario, insieme agli abitanti del quartiere ed aperto agli studenti e alla cittadinanza. Per info scrivere a gio.fiamminghi@gmail.com o chiamare il numero cell. 334 7505337. Il tema sarà quello dello spazio pubblico e di quello comune: si lavorerà in particolare  sugli spazi verdi e sul muro che racchiude il quartiere, ma anche sui vuoti architettonici e sullo sfitto abitativo. Il meeting di inizio workshop sarà alle ore 10.00 di Venerdi 1 Giugno sul retro della sede Iuav del Cotonificio, di fronte al bar.

 

Abstract e invito ai relatori_ Parasite Strategie For New Cities (click here to download)_ Strategie Parassite per Nuove Città

La società è in continuo divenire e l’uso della spazio di conseguenza si modifica in base alle nuove relazioni e ai nuovi comportamenti. La trama dei rapporti umani è imprescindibilmente legata ai luoghi fisici all’interno dei quali si sviluppa. L’importanza del “contesto”, dello “spazio”, del “luogo” appunto, diviene centrale per l’azione, per il progetto e per capire le società nel loro insieme, in quanto localizzate spazialmente. In questo contesto il termine “territorio” assume una nuova fisionomia: “è l’uso che se ne fa” (Crosta) e qualsiasi intervento volto a modificarlo non può prescindere dagli attori che lo vivono e lo animano nella loro quotidianità.

Il territorio ha i connotati dello spazio locale, concreto, materiale e tangibile (fatto di altri esseri viventi, di oggetti, di costruzioni, di strade, etc), ma è anche l’intangibile spazio fluido ed evanescente delle reti invisibili (internet, telefonia, mail, wireless, etc).

L’individuo contemporaneo che agisce nello spazio può essere definito come  un “cyborg territoriale”, ovvero un “cuerpo que flota simultáneamente entre los flujos naturales y los flujos electrónicos” (José Pérez de Lama, Hackitectura).

Lavorare sul territorio e sulle città oggi, significa operare in un’ottica “multiscalare” considerando allo stesso tempo locale e globale, micro e macro, particolare e universale. I processi che si riflettono sui territori sono generati da fattori globali che hanno soppiantato governi propri dello Stato Nazione, una realtà nazionale o locale può soltanto essere capita o cambiata tenendo conto delle dinamiche internazionali (Bert Theis); per questo è necessaria la comunicazione orizzontale tra  realtà che agiscono localmente: realtà consapevoli del fatto che possono continuare ad esistere e produrre solamente mettendosi in rete, scambiandosi competenze e saperi, mettendo in pratica modalità di azione diretta interconnesse.

Lo spazio urbano, l’ecosistema metropolitano, si manifesta oggi come il “dove” della “crisi sistemica”: la città infatti, se da un lato è il luogo principe dell’esercizio del potere biopolitico, che tende ad inibire (e a volte addirittura ad annullare) le capacità di autogestione dei singoli e delle comunità, dall’altro si espande senza sosta generando aberrazioni incalcolabili, che prendono forma nel “rifiuto”, nello “scarto”. Questa “spazzatura” assume molteplici connotati: la sua scala non si limita alla dimensione oggettuale, ma coinvolge anche quella architettonica e urbana, producendo pure forme prive di funzioni e di usi, costruzioni e spazi che muoiono prima ancora di aver vissuto.

Spazio ed uso, reali o immaginati,  non sono solo i nuovi paradigmi dell’architettura (J.L.Mateo, K. Ivanisin) ma anche delle altre discipline del progetto quali l’arte e la pianificazione urbanistica.

 “.. il territorio non è un contenitore a perdere né un prodotto di consumo che si possa sostituire. Ciascun territorio è unico, per cui è necessario riciclare, grattare una volta di più (ma possibilmente con la massima cura) il vecchio testo che gli uomini hanno scritto sull’insostituibile materia del suolo, per deporvene uno nuovo, che risponda alle esigenze d’oggi, prima di essere a sua volta abrogato.” (A. Corboz)

La contrazione dei tempi di trasformazione e di mutamento, legata all’ipervelocità ed  all’accelerazione esponenziale nello sviluppo delle tecnologie e della produzione (e di conseguenza delle “crisi”),  ha modificato le tempistiche dell’obsolescenza di strutture fisiche, funzioni, usi.

E’ necessario quindi arrestare il dilagare dell’urbano, ridare significato al rifiuto, allo scarto, al margine e contemporaneamente immaginare formule e azioni per riconnettere quelle parti del tessuto sociale e fisico che hanno perso la capacità di organizzarsi o rigenerarsi autonomamente, immaginando nuove strategie.

L’architettura declina legami parassitari con corpi ospiti esistenti per densificare la città, per tradurre spazialmente richieste che emergono da storie ordinarie utilizzando ‘quello che c’è’ e che in breve tempo ha già assunto i connotati dell’abbandono. L’architettura parassita è il riflesso di un ripensamento del valore dei territori e della necessità che la città cresca su se stessa e non più oltre. (S. Marini)

Oggi l’emanazione di norme che limitano le nuove edificazioni e il consumo di suolo costringono i progettisti a confrontarsi con nuove tematiche e nuovi spazi, nuove modalità “parassite” d’intervento sull’esistente. Queste “novità” che ora stanno diventando un approccio progettuale non sono altro che la rideclinazione contemporanea di una pratica antica, che nel nostro secolo è stata spesso adottata “dal basso” per soddisfare necessità emergenti.

In questo contesto le pratiche di occupazione, di riappropriazione e di autogestione degli spazi si son dimostrate visionarie e devono essere ri-considerate oggi come attività propositive, sperimentali, volte a proporre nuovi modelli che possano rivitalizzare sia le relazioni umane che gli spazi dove queste si esplicitano. E’ necessario scavalcare in questo senso l’equazione illegale = illegittimo, innovando o rifondando la norma con l’azione sul territorio.

In the case of European cities, the resilience capacity should also allow for the preservation of specific democratic and cultural values, local histories and traditions, while adapting to more economic and ecological lifestyles. A city can only become resilient with the active involvement of its inhabitants. To stimulate this commitment, we need tools, knowledge and places to test new practices and citizen initiatives, and to showcase the results and benefits of a resilient transformation of the city. (A.A.A)

Agire sul territorio genera relazioni “solidali” in contesti microlocali che possono fungere da riserve di “welfare”, utili alla società per proteggersi dalle condizioni estreme generate dalla crisi. D’altro canto la “società delle reti”, consente alle persone di accumulare cultura e connessioni trans-locali in grado di produrre resistenza, antagonismo e controegemonie.

L’azione nello spazio fisico e virtuale genera nuovi punti di vista rizomatici e alternative ai modelli di vita attuali; essa tende inoltre a creare “solidarietà plurali” in contesti microlocali che funzionano come  “sacche di resistenza” per la società, la cui orizzontalità, resa possibile dalle reti, consente agli esseri umani di accumulare cultura e connessioni trans-locali in grado di produrre nuovi sistemi.

Il progettista che decide di approcciarsi  a queste modalità di intervento deve però stare attento con il proprio lavoro a non banalizzare ed espropriare una metodologia nata dalla necessità, da istanze culturali, politiche e sociali: il pericolo è quello di ricondurre queste pratiche esclusivamente all’interno della teoria o della pratica professionale, sussumendole e rendendole funzionali al dominio biopolitico, con il rischio di agevolare fenomeni di gentrificazione.

Inoltre lo stesso termine “parassita” insieme ad altri quali “rifiuto”, “scarto”, etc. creano un ulteriore problema. Se mistificati possono tendere a legittimare un’estetica della povertà e a facilitare la contrazione degli spazi e della qualità dell’esistenza: in questo senso urbanistica, architettura e arte possono agire come powerfull tool per oltrepassare questa retorica o sono solo strumenti utilizzati per il controllo dei processi in atto?

23 Maggio_Architectural Paradigms: Space & Use

 

Krunoslav Ivanišin (Dubrovnik, 1970) obtained his degree from the University of Zagreb Faculty of Architecture in 1996. He is principal of IVANIŠIN. KABASHI. ARHITEKTI, a research- oriented, award- winning architectural practice founded in Dubrovnik and Zagreb in 2003. They have won a number of design competitions in Croatia and abroad and constructed projects of various scales, for private and public clients. They have published, exhibited and lectured internationally, most notably at the International Architecture Exhibition of the Venice Biennale in 2010.

Krunoslav Ivanišin was Editor- in- Chief of „Arhitektura“ and „Man and Space“ magazines. He is visiting professor at the post- master studies of the BIArch; Barcelona Institute of Architecture. He was teaching at the Faculty of Architecture Zagreb and at the TU Graz, Instutute of Architecture Technology. Since 2007 he has been teaching assistant at the Federal Institute of Technology (ETH) Zurich. Together with Hans Ibelings, he is the author of “Landscapes of Transition- an Optimistic Decade of Croatian Architectural Culture” (SUN Amsterdam, 2009). Together with Josep Lluís Mateo, he has edited Architectural Papers V: After Crisis (Lars Müller Publishers, Baden/ ETH Zurich, 2010). He lives and works in Dubrovnik, Zagreb and Zurich.

Materiali introduttivi al seminario a cura di Krunoslav Ivanisin:

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Abstract introduttivo al seminario a cura di Krunoslav Ivanisin

Josep Lluis Mateo,  architect since 1974 and PhD (cum laude) since 1994 at the UPC-Universitat Politècnica de Catalunya. He is Professor of Architecture and Projects at the ETH-Eidgenössische Technische Hochschule (Swiss Federal Polytechnic). Landmarks in his career as an architect, for which he was recently awarded the A+ Prize 2011, include the development of Ullastret (Santander Biennale Prize 1991), housing on Borneo Island in Amsterdam (CEOE Prize 2001), the head office of the Bundesbank in Chemnitz (2004), the Forum 2004 complex in Barcelona, the Barcelona International Convention Centre (CCIB), Hotel AC and the CZF office block, the Sant Jordi student residence (Archizinc Prize 2008) and the WTC Almeda Park office building in Cornellà (A+ Prize for Work Architecture 2010). He has also developed the new branch image and layout for Banco Sabadell (2004), remodelled the bank’s historical head office (2006) and designed the entrance and main branch of its emblematic office block in Barcelona (2007-2010). Josep Lluís Mateo has recently inaugurated the Factory, an office building in Boulogne-Billancourt, Paris (NAN Prize 2010, TPI Group), the extension of the office building of PGGM insurance company in Zeist, Holland (NAN Prize 2011, TPI Group) and the Film Theatre of Catalonia (2011 Barcelona). His work has been extensively published and exhibited, most recently at the MoMA (New York, 2006), the Pavillon de l’Arsénal (Paris, 2009), the Glyptotheque (Athens, 2010) and the Central House of Artists (Moscow, 2011).

 

9 Maggio 2012 _ Designing in the Globalization Era


E’ il momento di mettersi in viaggio nella complessità.

In questo momento di crisi si manifesta il bisogno diffuso di nuove narrazzioni e di nuovi linguaggi, dunque il sapere e la conoscenza rappresentano uno dei punti da cui ripartire. La conoscenza infatti come bene non tende alla “scarsità” tipica delle merci, definite “rivali” o appunto scarse, bensì all’abbondanza: nella sua socializzazione essa genera altra conoscenza, e da bene individuale con un proprio “valore d’uso”, si trasforma e cresce ogni volta che è messa in circolazione, acquisendo così un “valore di scambio”(cfr Fumagalli).

Si parla da tempo di postfordismo, di società delle reti, di economie della conoscenza, ed oggi anche di sorpassamento del modello capitalistico. Parlando di design e progettualità, si cercherà di riflettere sulla valenza odierna di tali concetti che tradizionalmente richiamano la produzione industriale. Il design viene classificato fondamentalmente in riferimento a specifici settori di produzione: industrial design, product design, visual design, eccetera, oppure in riferimento alle tipologie di prodotti: car design, furniture design e così via.

Ma come si ricolloca all’interno di questi cambiamenti interni alla produzione capitalistica? Parlando di processi e della loro sistematizzazione si possono escogitare altre strategie che non inquadrino il Design solo in riferimento alla mera produzione di oggetti ed in modo che la sua progettualità non tenda solamente ad essere votata alla domanda di mercato o a quella della committenza, fondate sul tecnicismo e sul valore monetario (lussuoso o  ‘pop’ che sia).

Vari sono gli scenari possibili: l’eco-design ed  il design sistemico, la riduzione dello scarto in fase progettuale e lo studio dei materiali compatibili e delle risorse meno esauribili, il riuso ed il riutilizzo come recupero e rigenerazione; ma anche il design come forma di azione diretta, di creazione individuale e collettiva, di riappropiazione o di costruzione del proprio habitat.

Una crisi sistemica come quella oggi in atto necessita certamente di un disegno sistemico per potere essere superata. E’ possibile pensare a delle modalità di azione e ad una rete per un interscambio fra entità dove tutti possano co-evolvere?

In questo contesto si avverte l’urgenza di una riflessione trasversale che attraversi tutti i campi del sapere, di porre l’accento sulla transdisciplinarità, sui sistemi aperti, sulle relazioni tra settori, sull’importanza dell’agire localmente, sui collegamenti orizzontali possibili grazie alle reti sociali e ai new media, sulla centralità dell’uomo nella sua coestensione con gli ambienti. All’oggi il linguaggio tende ad accorpare termini, quali sostenibilità, ecocompatibilità, decrescita felice o serena, che rimandano a scenari e teorie sulle quali è necessario operare una riflessione, per tentare di chiarirne e sostanziarne il significato.

La felicità di chi? quale? quella individuale  o quella collettiva? come si rapportano tra loro queste due? è possibile misurarle? E ancora: è possibile parlare di sostenibilità dei progetti quando spesso questo termine serve solamente a mascherare e imbellettare delle vere e proprie opere di speculazione? Ha senso oggi parlare di sostenibilità ambientale, economica o finanziaria prescindendo dall’impatto sociale  dei progetti  e dei processi, dall’analisi  dei rapporti  del ‘design’ con le forme di produzione e di organizzazione del lavoro, non valutando accuratamente le ricadute ed i riflessi sulla città e sui territori?

L’ambientalismo normativo e unicamente prescrittivo, non realmente radicato nella cultura e nei costumi delle persone, “è un pericolosissimo segno di involuzione che può portare all’idea e alla realizazione  di un ambiente magari meno inquinato, dove vi è maggiore equilibrio del consumo delle energie ma che si realizza attraverso un depauperamneto antropologico molto pericoloso” (cfr Branzi). La riflessione che propone Andrea Branzi, nella sua radicalità, è ricca di spunti di riflessione, ma lascia anche aperti numerosi interrogativi: come possiamo cambiare il nostro modo produrre e consumare prodotti, rendendo compatibile il nostro agire con l’equilibrio degli ecosistemi in cui viviamo?

In effetti anche se si rapportano i temi della “scarsità delle risorse, del rifiuto e dello scarto, con la ‘abbondanza’ espressa dallo scambio di ‘conoscenza’ che socializzandosi si riproduce e accresce, e si prevede una possibile rinascita unicamente a partire dal un modello ‘povero’, la prospettiva è quella di una ripartenza dalle ‘rovine’ del modello di cui stiamo constatando i limiti.

In questo senso la cultura del progetto è in crisi: da un lato si pensa di poter perseverare nell’iperproduzione e nella diffusione di un modello di mercato che porta, con l’accumulazione dei prodotti, fino alla saturazione degli ecosistemi; dall’altro ci si immagina che dai resti dei prodotti generati da un vecchio sistema (dalla sua spazzatura) possa nascerne uno migliore, spesso con un atteggiamento pervaso dall’estetica della povertà, che rischia di ridurre la qualità delle esistenze. D’altro canto, nella società della spazzatura, un atteggiamento critico rispetto al tema dello scarto può generare processi e progetti fecondi nella società e per la società.

Con questo seminario vorremmo riflettere insieme ai nostri ospiti sulle questioni poste, analizzando varie esperienze progettuali che si presentano come input per intraprendere dei percorsi di condivisione e sperimentazione di pratiche di sviluppo, in grado di superare le attuali logiche di produzione e che, se venissero sistematizzate e integrate all’interno di un percorso pratico teorico, potrebbero portare alla generazione di nuovi modelli.

Programma

ore 10.00 introduzione a cura degli organizzatori.

ore 10.15 intervento di Luigi Bistagnino

ore 11.15 intervento di Mario Santi

ore 12.00 intervento di Resign

ore 12.45 dibattito

ore 13.15 pranzo e convivio

ore 14.30 lezione di Andrea Branzi

ore 16.30 dibattito

Ospiti, biografie e riferimenti per la preparazione al seminario : 

Luigi Bistagnino, architetto e designer, vive a lavora a Torino. Si occupa di ecocompatibilità dei prodotti (design per componenti), dei processi dell’agroindustria e dell’industria (design sistemico). Fondatore del gruppo di ricerca Design Sistemico, Politecnico di Torino, che ha come obiettivo lo sviluppo dei prodotti e dei processi tendenti a emissioni zero. Professore Ordinario di Design, presidente del Corso di Studi in Design del Politecnico di Torino è autore di saggi ed articoli pubblicati su importanti riviste nazionali ed internazionali. Membro del comitato scientifico della ricerca Food & Agricolture di Deloitte & Touche SpA; coordinatore del gruppo di lavoro su “Materia Rinnovabile” per Edizioni Ambiente. Ha progettato oggetti attualmente in produzione ed ha vinto premi nazionali ed internazionali di design, fra cui Il Compasso d’Oro, ADI. Coordinatore e membro di diverse ricerche nazionali ed europee. Tra le sue pubblicazioni: Design Sistemico, 2° ed, Slow Food editore, Bra 2011 italiano; Systemic Design, 2° ed, Slow Food editore, Bra 2011 inglese; Il guscio esterno visto dall’interno, CEA, Milano 2008; Designpiemonte, Agit, Beinasco, Torino, 2007; Design con un futuro, Time&Mind, Torino, 2003; Ecodesign in the EU, The Kuopio Academy, Kuopio, Finlandia, 2000.

Materiali introduttivi al seminario a cura di Luigi Bistagnino:

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Abstract introduttivo al seminario a cura di Luigi Bistagnino

Andrea Branzi, architetto e designer, nato a Firenze dove si è laureato; vive e lavora a Milano dal 1974.  Fino dalla laurea (1966) ha fatto parte del movimento di avanguardia dell’”architettura radicale” e i suoi progetti sono oggi conservati presso il Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma, al Centro Georges Pompidou di Parigi e al FRAC di Orléans. Si occupa di design industriale e sperimentale, architettura, progettazione territoriale, didattica e promozione culturale. Autore di molti libri sulla storia e teoria del Design, pubblicati in vari paesi. E’ stato consulente responsabile del primo Centro Design e Servizi per un’industria di materie prime (Montefibre) dal 1974 al 1979, vincendo con le ricerche di Design Primario  il primo dei tre Compassi d’Oro, di cui uno alla carriera. Nel 1982 ha co-fondato e diretto Domus Academy, prima scuola post-universitaria di design. E’ stato direttore della rivista MODO dal 1982 al 1984. Professore  Ordinario e Presidente del Corso di Studi  in Design degli  Interni alla Facoltà di Design del Politecnico di Milano. E’ stato membro del Consiglio Nazionale del Design del Ministero della Cultura. Ha curato le prime esposizioni tematiche del nuovo Design Museum della Triennale di Milano. Nel 2008 ha ricevuto la Laurea Honoris Causa in Design dall’Università della Sapienza  di Roma e nello stesso anno è stato nominato Membro Onorario del Royal Design for Industry di Londra.  Ha tenuto conferenze in Francia, Belgio, Olanda, Germania, Inghilterra, Austria, Svizzera, Spagna, Portogallo, Stati Uniti, Brasile, Argentina, Giappone, Corea, Hong Kong, Cina, Singapore, Thailandia.

Tema della lezione a cura di Andrea Branzi:

“Dieci modesti consigli per una Nuova Carta di Atene”:  la crisi della città attuale, il passaggio da una Civiltà Architettonica a una Civiltà Merceologica e il ruolo del design nell’epoca della globalizzazione.

Materiali introduttivi al seminario a cura di Andrea Branzi:

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estratti dalla lezione di Andrea Branzi “Le forme dell’abitare”,  15 Maggio 2009, progetto ‘Anomalie Urbane’, ex Cotonificio Iuav, Venezia.

Mario Santi, laureato in urbanistica nel 1980, dalla seconda metà degli anni 80 sono stato tra i primi in Italia a dare contenuto tecnico e a offrire sul mercato prestazioni professionali coerenti con l’impostazione dell’unione europea in tema di gestione ambientale. (dal 1988 al 2000 con Arianna sas,  di cui ero socio, dal 2000 come libero professionista). Ho maturato una vasta esperienza di pianificazione gestionale nel settore, a livello comunale e sovracomunale. Negli ultimi anni mi sono dedicato soprattutto ai temi della trasformazione tariffaria (ho realizzato alcune tra le più innovative esperienze a livello nazionale, fatto parte di Gruppi di lavoro regionali e nazionali con la messa a punto di Linee Guida, strumenti e gestione di corsi di formazione per tecnici e amministratori) e alla prevenzione e riduzione dei rifiuti, gestendo esperienze di progettazione e percorsi formativi (oltre ad avere gestito – per Federambiente e Osservatorio Nazionale sui Rifiuti  una Banca dati delle esperienze e messo  a punto Linee guida a livello nazionale. Curo la rubrica Finestra sulla Prevenzione dei rifiuti  nella News letter quindicinale  del portale RifiutiLab. Dal 2010 ho concepito e avviato il progetto di Museo dei rifiuti, che portato alla nascita del Laboratorio energia e rifiuti di Palazzo Verde e Genova. Sono ora impegnato nella disseminazione di una rete di Musei Laboratori sui rifiuti, della quale coordino il Comitato Scientifico.

Materiali introduttivi al seminario a cura di Mario Santi

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abstract introduttivo al seminario a cura di Mario Santi

 slide introduttive al seminario a cura di Mario Santi

Resign  (www.resign.it) è una metodologia di lavoro ideata nel 2007 dai giovani designer Andrea Magnani, Giovanni Delvecchio ed Elisabetta Amatori e rivolta a tutti i progettisti che credono nella magia a nel valore simbolico delle cose. Tale metodologia si concretizza nella Bottega 2.0, un laboratorio creativo in cui i resigners hanno la possibilità di sperimentare partendo da una selezione di semilavorati di scarto. Lavorando su oggetti e processi il risultato dei progettisti non è più riconducibile ad un semplice prodotto ma è da valutarsi soprattutto per la propria capacità di riattivare la circolazione e la diffusione delle idee. I risultati sono quindi da leggere come oggetti seminali, magici oppure come semplici ragionamenti sul fare design. Resign è un metaprogetto. Per il metaprogetto Resign il processo progettuale, da strumento al servizio della produzione, diventa mezzo per l’instaurarsi di relazioni sensate: il senso di un oggetto non sarà quello di essere più o meno bello ma nella capacità che avrà di porsi come “creatore” di relazioni dense e ad alto contenuto identitario (Design 2.0 – Stefano Caggiano). In quest’ottica, Resign è una metodologia che si propone di adottare un approccio sostenibile alla progettazione sia da un punto di vista relazionale/sociale che ambientale. Tale metodologia si basa essenzialmente su tre principi inspirati alla logica della riflessività:

  • L’importanza di incanalare la creatività diffusa in percorsi di senso condivisibili.
  • L’importanza, in termini identitari e di capitale simbolico, dell’esistenza di una rete di relazioni dense.
  • La necessità di rivedere le modalità di progettazione verso la sostenibilità, considerando preventivamente l’ennesimo potenziale riuso di un oggetto e il suo impatto sull’ambiente naturale e sociale.

Perchè il nome Resign ? REsign in inglese significa dimettersi. Innanzitutto noi vogliamo dimetterci…Per noi Resign significa anche “riuso dei segni”, una ricombinazione creativa dei segni di cui sono permeati gli oggetti dimessi e scartati dal processo produttivo main stream al fine di generare, attraverso il riuso, nuovo significato ad alto valore identitario e interpersonale.

Curriculum vitae del gruppo Resign

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cv resign 

Giovanni Delvecchio, nasce a Cesena nel 1981. Nel 2005 partecipa al Salone Satellite di Milano con Dorothygray. Special mention Design Awards. Socio fondatore del Do_Nucleo culturale di Faenza nel 2007; nello stesso anno nasce Resign con Elisabetta Amatori e Andrea Magnani.Si laurea all’ISIA di Faenza nel 2008; titolo della tesi Era Design. Nel 2009 si sviluppa la prima Resign Academy, esperimento di scuola teorica e pratica, dove docenti e studenti lavorano e vivono insieme per 3 settimane. Tutt’ora Giovanni è un designer a domicilio.

Andrea Magnani, nato l’8 ottobre del 1983. Vive e lavora a Faenza da sempre. Ragioniere per errore. Nel 2007 diventa socio fondatore del Do-nucleo culturale e da vita al metaprogetto Resign. Nel 2008 si laurea all’ISIA di Faenza con una tesi sulla metaprogettualità. Nel 2010 cura la prima edizione di Nuovo, diventa art director per Hollo e fonda la società segreta Xht. I suoi lavori sono stati selezionati ed esposti in numerose mostre e recentemente selezionati per la Triennale di New York e per la 54° Biennale d’arte di Venezia – Pad. Emilia-Romagna. Attualmente impegnato in una ricerca sulla magia e il valore simbolico delle cose. artist statement’s Andrea Magnani.

Antonello Fusè, nato nel 1985 a Magenta, una piccola città del nord Italia, si laurea in Industrial Design alla N.A.B.A di Milano nel 2008. Durante i suoi studi lavora come grafico, cameriere, barista, telefonista e viene selezionato per alcune mostre di design e street art tra cui “Geodesign” (Torino Design World Capital 2008) e “Mi name is” (Triennale di Milano 2008). Dopo aver lavorato come industrial e car designer ha finalmente trovato la sua naturale attitudine con Resign: giovani alchimisti del design.Antonello vive e lavora a Milano.